archivio generale articoli, lettere, comunicati e interviste dalla stampa | ||||||||||||||||||||||||||
ANNI: |
|
|||||||||||||||||||||||||
|
Trento, 23 ottobre 2008 Nel 2100 almeno il 90% dell’energia usata dall’umanità verrà dalle fonti rinnovabili. Affermazione shock, ma facilmente dimostrabile. Anche i più scatenati degli ottimisti, perfino la IEA (International Energy Agency: è una agenzia di bugiardi professionali) è d’accordo che per quella data petrolio, gas, carbone, uranio saranno quasi esauriti. Quindi le uniche fonti saranno le rinnovabili. È questa la direzione obbligata, non ci sono possibili sconti o strade diverse. La conclusione è facile per chi sa fare almeno le divisioni: dobbiamo guadagnare qualcosa come il 10% di rinnovabili ogni dieci anni. Il conto più corretto è appena più complicato ma porta alla conclusione che i paesi industrializzati dovranno fare di più di questo nei decenni dal 2010 al 2030. Ma avete sicuramente letto molte volte (anche nell’articolo di Umberto Carpi sull’Adige di ieri) che «le rinnovabili non potranno fornire che una frazione» della energia che oggi usiamo. Sottolineo la parola «oggi» perché non ce l’ha prescritto il medico di consumare - anche in futuro - energia in modo stupido e inefficiente come abbiamo fatto finora. Perciò nel 2100 l’umanità consumerà in totale molto meno di oggi e la dimostrazione è facile anche in questo caso. Affermare il contrario viene da una vecchia scuola di pensiero - ormai in ritardo con il mondo – che utilizza per il futuro gli scenari «Business As Usual». Questi sono gli scenari più facili da fare: anche un ragazzino con un computer modestissimo può farli. Anche per questo sono gli scenari più stupidi. Prevedono in sintesi che tutto continuerà come finora: nessuna innovazione tecnologica, nessuna innovazione organizzativa, inefficienza come oggi, bolle speculative comprese. Se vi guardate indietro vi accorgete che l’umanità ha sempre proceduto nella maniera opposta: innovazione, miglioramenti dell’efficienza e dell’organizzazione. Non avete dubbi che dalla gigantesca crisi di questo ottobre usciranno anche novità (regolamentazione) su finanza, bolle e speculazione. Perciò non esiste nessuna ragione per credere che con gli enormi cambiamenti in corso tutto continuerà «Business As Usual». Nel 2100 consumeremo meno che oggi; l’energia che consumeremo verrà al 90% dalle rinnovabili; il «meno» verrà dall’efficienza energetica. La direzione è segnata in maniera non-negoziabile, ma avete già capito dai numeri semplici elencati sopra che anche l’ammontare dei nostri miglioramenti di efficienza, l’ammontare dei nostri futuri progressi nelle rinnovabili e quindi l’ammontare delle nostre riduzioni di emissioni di gas-serra sono già sufficientemente noti. Sono noti da anni: la Comunità Europea prima di lanciare il programma detto 20/20/20 (20% di rinnovabili, 20% di abbattimento delle emissioni di CO2 entro il 2020) aveva fatto correttamente i suoi conti – al contrario di quello che ha scritto Carpi. Chi non ha mai fatto i conti, chi non ha mai fatto programmazione a lunga scadenza, chi non vuol mai guardare oltre il limite dei cinque anni di una legislatura o di un incarico dirigenziale è l’Italia. Purtroppo in questo campo l’Italia è davvero all’ultimo posto tra le nazioni con cui ci vogliamo confrontare. Chi non ha mai fatto i conti è il nostro apparato industriale (e la Confindustria): se li avessero fatti saprebbero che l’affare dell’avvenire, l’affare del secolo è nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica. Non è certamente nel rilancio dei settori industriali decotti e mangia-risorse: l’auto, per esempio. In questo periodo storico in cui il prezzo del petrolio aumenta e continuerà ad aumentare; negli anni in cui la crisi economica globale sta strizzando la nostra ricchezza (e lo farà ancora con certezza negli anni a venire) si vuole rilanciare il settore auto e collegati. Il cemento per esempio - autostrade, ponti, tunnel - è il trucco conosciuto in tutti i paesi sottosviluppati per bruciar petrolio: chi non sa fare computer, microelettronica e simili fa cemento. Ma non avete abbastanza fantasia per vedere che gli affari futuri sono in altri settori? Voi lettori, guardatevi stasera un poco di televisione e vedrete lo sforzo pubblicitario gigantesco che stanno facendo le case automobilistiche per rilanciare le vendite: senza cattiveria (e anzi con rammarico), sembrano gli sforzi di uno che sta annegando. Il trend è ben definito: meno auto nel nostro futuro. La botta di pubblicità di questi giorni potrà rialzare le vendite per un breve periodo - con l’effetto di deprimerle ancora di più nel seguito. È questa la lungimiranza della Confindustria? È questa la miopia che cerca di non affrontare il mondo che cambia; che cerca di prolungare il Business As Usual per sempre, che chiede all’Europa sconti e facilitazioni (salvo – come abbiamo saputo – chiederle ai giornalisti ma non al Parlamento Europeo). Carpi dice che non possiamo fare riduzione delle emissioni «senza il concorso di Stati Uniti e Cina»: è una storiella vecchia di venti anni ed è ormai dimostrato (per chi ha occhi per vedere) che è falsa: si può e si deve fare senza l’unanimità. Non è una votazione. Chi è più intelligente parte prima; chi è meno intelligente (o quella nazione che è stata tradita dal proprio presidente-petroliere) partirà dopo. Usare questo argomento nell’ottobre 2008 è incredibile perché tra giorni ci saranno le elezioni Americane e chiunque diventerà presidente non potrà ripetere gli errori fatti da Bush - in particolare quelli sulle emissioni di CO2 e quelli riguardanti l’economia. È incredibile perché basterebbe leggere poca informazione dalla Cina per capire che la Cina sta partendo in ritardo sulle misure ambientali ma che sta ricuperando velocemente e che nel giro di pochi anni sorpasserà l’Europa. Il programma 20/20/20 non è «ambiziosissimo», come scrive Carpi: è un programma ragionevole e fattibile, ma soprattutto inevitabile. Sono i non-programmi Italiani che sono fuori dal tempo e dalla comunità mondiale. Lettori, guardate lontano: se non attuassimo entro i prossimi anni misure decise di riduzione dei gas serra, metteremmo a rischio l’umanità prima del 2100. Ma metteremmo a rischio la nostra economia e quella mondiale prima del 2050. Antonio Zecca
|
|||||||||||||||||||||||||
© 2000 - 2022 |
||||||||||||||||||||||||||
|
|